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antonina

COMUNE DI PALIZZI

La SS 106 immette a Palizzi Marina, un antico approdo che l’erudito calabrese Gerolamo Marafioti definì, alla fine del XVI secolo, “comodissimo alli vasselli del mare”.
Porto Palizze, così era chiamata questa baia tra Sette e Ottocento, non a caso conserva un lungomare che sebbene piccolissimo, è l’unico ad avere vita marinara anche d’inverno. Dell’attracco costiero non vi è più traccia, fatta eccezione per una torre di avvistamento, del 1595, detta Torre Mozza, per via dello squassamento delle parti superiori della struttura, di cui rimane un unico angolare, impostato su una base rettangolare. Il paese è diviso dalla fiumara in due contrade: Murrotto e Stracia, chiaramente allusive a testimonianze del passato. Da entrambi i quartieri si partono due strade che conducono rispettivamente alle frazioni di Palizzi Superiore e Pietrapennata, attraverso una percorso costellato dai più pregiati vigneti dell’Area Grecanica.
Ma il cuore pulsante del comune di Palizzi è il centro storico posto più in alto, a circa 272 m s.l.m. rispetto alla frazione Marina.
 
IL NOME
Deriva secondo alcuni dal greco politsion con senso diminutivo di polis (città), secondo altri dal greco polìscin, che  pare significhi “luogo ombroso”.
 
FRAZIONI E LOCALITÀ 
Palizzi Marina, Palizzi Superiore, Pietrapennata, Spropoli; Contrada Iermanata, Contrada Gruda, Case Sparse.
 
LA STORIA
Palizzi raggruppa tutti gli elementi dei borghi delle favole: un castello posto su una rupe, un borgo medievale ai suoi piedi e un ponte a sella d’asino che fin dal Trecento sovrasta un corso d’acqua. Documentato per la prima volta nella metà dell’XI secolo, tra i beni del monastero di Sant’Angelo di Valle Tuccio, Palizzi figura, alla fine del secolo successivo, tra i casali della contea di Bova. Nel 1322 il feudo fu venduto da Bartolomeo Busca a Guglielmo Ruffo di Calabria, conte di Sinopoli, possidente di un vasto tenimento che comprendeva gran parte della Calabria Meridionale. Alla sua morte, il nipote Antonello dovette spartire il baronato con lo zio Folco, generando così il ramo dei Ruffo di Palizzi-Brancaleone, sopravvissuto per quattro generazioni, non senza bruschi intervalli, determinati dai contrasti dinastici tra Angiò e Aragona. Nel 1479 Palizzi era in mano a Bernardino Maldà de Cadorna ma già nel 1498 tornò ai Ruffo, a cui si devono i lavori sul fianco nord orientale del castello, dove evidenti sono i segni delle novità architettoniche, importante nel Regno di Napoli da Francesco Giorgio Martini e Bernardo Rossellino. Il matrimonio di Geronima Ruffo e Alfonso de Ayerbo d’Aragona nel 1505, inaugurò una ripetuta serie di avvicendamenti dinastici che videro il baronato passare prima a Troiano Spinelli, poi di nuovo agli Ayerbo d’Argona e quindi nel 1580 ai Romano di Messina. Spetta a Giacomo Colonna Romano l’inserimento dello stemma araldico che campeggia all’ingresso del castello, posto forse al termine di una campagna di restauri. Proprietà degli Arduino di Messina dal 1666, la terra di Palizzi fu venduta nel 1751 ai De Blasio, i quali la mantennero fino al 1806, apportando notevoli ristrutturazioni al castello, che in parte definiscono l’aspetto attuale. L’imponente edificio sovrasta un borgo colmo di atmosfere medievali. Vicoli strettissimi e infinite gradinate conducono alla piazza principale dove si affaccia la Chiesa di Sant’Anna.
 
SCOPRIRE IL CENTRO STORICO E LA CITTADINA 
Immerso in una superba natura, il borgo è abbarbicato ad una rupe d’arenaria ai piedi dell’imponente castello. Il paese affascina subito il visitatore per il suo centro medievale unico: “palazziate e solarate” di fantasiose soluzioni architettoniche, catoi, sottopassaggi, scalette e tetti di ceramide (tegole ricurve) danno la visione di un paesaggio naturale quasi incontaminato.
La passeggiata parte dal ponte dello “schiccio”, sotto il quale scorrono le acque della fiumara di Palizzi, dal quale può scorgersi un antico mulino.
Arrivati al centro del paese, si può visitare la chiesa parrocchiale di Sant’Anna che custodisce al suo interno un interessante corpus di statue di santi e madonne, tra cui la scultura lignea della santa titolare, commissionata nel 1827 dall’ultimo barone di Palizzi, Tiberio De Blasio.
In fondo all’abside si staglia la statua in marmo di Sant’Anna e la Madonna, tra le prime opere a tutto tondo sopraggiunte nella diocesi di Bova, entro lo scadere della seconda metà del Cinquecento. Dello stesso periodo, ma di matrice artistica diversa, è la cupola che si innesta nella navata sinistra, testimonianza della persistenza architettonica bizantina, chiaramente percettibile all’esterno nell’uso del coccio per alleggerire la struttura. In questa parrocchia, il vescovo Stavriano, istituì (1574) la prima comunia latina della diocesi, alla quale devolvette tutte le proprietà delle chiese di Palizzi. Vi potevano entrare a far parte solo chierici latini. I greci, così esclusi e ridotti in miseria, sopravvissero dedicandosi all’agricoltura e alla pastorizia. Morirono lasciando eredi che mai si sognarono di succedere al ministero dei genitori, irrimediabilmente sconfitti dagli eventi.
Attraverso i vicoletti caratterizzati da particolari soluzioni architettoniche antisismiche, si giunge al castello d’età medievale, riconosciuto monumento nazionale dal Ministero ai Beni culturali.
Di recente edificazione la frazione marina che si estende sulla magnifica costa meta nidificatoria delle Tartarughe Marine Caretta Caretta. Palizzi, infatti, è comune capofila del progetto Life Caretta Calabria che si inserisce a partire dal 2013 nel programma Life della DG Ambiente della Commissione Europea.
 
PALIZZI IGT
Il territorio di Palizzi si distingue per l’abbondanza delle viti; vi si produce un ottimo vino rosso riconosciuto dal marchio IGT, che si può gustare nei caratteristici catoi della cittadina, denominata per l’appunto “città del vino”.
Conosciuto e apprezzato in tutta la zona  Palizzi è un rosso generoso, ottimo con gli arrosti, con pietanze tradizionali ed elaborate a base di sughi e carni di capra e di maiale, stufati, cacciagione, formaggi ben stagionati.

 
INFORMAZIONI
COMUNE: Comune di Palizzi
INDIRIZZO: Via Sant'Angelo
CAP: 89038
TEL: 0965.763079
FAX: 0965.763000
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SITO WEB: www.comune.palizzi.rc.it

COMUNE DI MOTTA SAN GIOVANNI

Motta San Giovanni è situata a 450 m slm.
Col termine “motta” un tempo si indicava un centro fortificato eretto sulla cima di una rupe, inaccessibile e allo stesso tempo panoramico. L’origine di Motta San Giovanni è però incerta, anche se il centro abitato si è sviluppato intorno al 1500 probabilmente dopo la distruzione della fortezza di S. Niceto.
Come gli altri paesi grecanici è stato distrutto dal terremoto del 1908, ma venne poi ricostruito in un punto poco più a valle.
 
LA STORIA
Sorta come appendice del castrum di San Niceto, Motta San Giovanni finì con l’assorbirlo quando quest’ultimo fu distrutto nel Quattrocento.
Nel 1507 divenne feudo autonomo con gli Aragona di Montalto, passando successivamente nelle mani di quattro patriziati messinesi: i Minutolo (1561), i Marquett (1565), i Villadicane (1576) e gli Ioppolo che soffocati dai debiti, lo perdettero. Messo all’asta a 46000 ducati, fu comperato nel 1605 da Carlo Ruffo di Bagnara che di ducati ne dovette sborsare 33.450.00. Nel Seicento il borgo era ancora un’enclave di preti greci. Qui risiedeva Nicola Stavriano, parente del vescovo Giulio Stavriano che nel 1572 aveva abolito il rito greco a Bova. Ironia della sorte volle che, proprio Nicola, fosse prete greco a Motta San Giovanni.
Quando i Ruffo di Bagnara ottennero da Filippo IV il titolo di principi, lo trasferirono nel 1682 al borgo a dimostrazione dell’importanza che gli attribuirono, fino all’avversione della feudalità, decretata dal governo francese nel 1806.
Da sempre Motta San Giovanni è nota per la lavorazione artigianale della pietra reggina: una roccia sedimentaria calcarea molto utilizzata in edilizia, estratta principalmente nelle cave di contrada Sarto in Motta San Giovanni e dalle cave del promontorio di Capo d’Armi, il costone calcareo battezzato dai Greci Leocupetra (pietra bianca), che sorge a Lazzaro, frazione di Motta San Giovanni, cresciuta alla fine del Settecento ai margini di un approdo attivo in età romana. Nel 44 a.C. sbarcò qui Cicerone, ospite nella villa di Publio Valerio, mentre era diretto in Grecia, in fuga da Antonio.
 
SCOPRIRE LA CITTADINA
Da visitare, a Motta S. Giovanni, il Castello S. Niceto. Il nucleo originario della fortezza venne realizzato agli inizi dell’XI secolo; venne poi registrato come “castrum” nei registri angioini del 1268 e, nell’anno successivo, venne annoverato tra i 19 castelli della Regia Curia. Numerosi lavori furono eseguiti dagli aragonesi e nel 1459 venne annesso a Reggio. La planimetria irregolare del recinto delimita una vasta area con numerosi ruderi in cui sono leggibili una torre scarpata in funzione di mastio, un edificio addossato alle mura di cinta, un palazzo centrale ed un edificio sacro. Rilevanti sono i resti della cortina muraria con torri poco sporgenti e la porta di ingresso tra due torri quadrate. Il “castello” propriamente detto è una fortificazione altomedievale di impianto irregolare le cui mura di cinta, che seguono il ciglio della scarpata, sono interrotte all’altezza del mastio da un muro trasversale che divide l’area fortificata in due zone. La cortina si è ben conservata per buona parte del circuito, fatta eccezione per la zona a sud crollata per frane. Diverse sono le tecniche murarie utilizzate per la cinta e per gli edifici. Il materiale più utilizzato è la pietra squadrata e a lastre, mentre gli angoli sono realizzati con blocchi.”
Tra le vie del paese spicca la chiesa di San Giovanni Teologo, all’interno della quale si custodisce la statua del santo con ai piedi il simbolo dell’aquila. Lo scannello alla base, recante uno stemma araldico degli Aragona, inquartato con le insegne degli Angiò, autorizza a pensare che la statua fu realizzata quando Motta San Giovanni divenne feudo autonomo, confermando quanto sostenuto dal Frangipane che ne poneva l’esecuzione intorno al quarto decennio del XVI secolo.
Poco distante, la sacrestia della chiesa di San Rocco conserva un corpus di materiali lapidei, provenienti degli edifici di culto del posto, databili al XVII e al XVIII secolo.

 
INFORMAZIONI
COMUNE: Comune di Motta San Giovanni
INDIRIZZO: Piazza della Municipalità
CAP: 89065
TEL: 0965.718101
FAX: 0965.711678
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SITO WEB: www.comunemottasg.it

COMUNE DI MONTEBELLO JONICO

Montebello Jonico è situato a 425 m s.l.m. .Il centro storico è ad impianto medievale, caratterizzato da strette viuzze e tratti costruiti a gradinate. Il paese è stato quasi interamente ricostruito dopo il terremoto del 1783, ma sono stati conservati, intatti, i ruderi degli antichi castelli medievali.
Quasi a giustificazione del suo nome, il paese gode di splendidi panorami, di grande interesse paesaggistico.
Vi operano alcuni artigiani, che lavorano il ferro battuto, e qualche pastore che produce formaggi e ricotte per il solo mercato interno.
Le produzioni locali più importanti sono cereali, frutteti, oliveti, bergamotto e vite, oltre alla presenza della pastorizia.
Una frazione importante di Montebello Jonico è Saline. Le saline, che hanno dato il nome alla frazione, appartenevano fin dal XI secolo dell’abbazia di Santa Maria di Terreti. Alla fine del IX secolo, questi stagni furono teatro del miracolo operato da Sant’Elia di Enna, il quale diede ordine al suo discepolo Daniele di gettare un salterio nell’acqua, ritrovato intonso quando questi tornò indietro a riprenderlo. Oggi nei pressi degli stagni abitati da cormorani, folaghe e persino fenicotteri c’è un porto insabbiato ed una gigantesca fabbrica non più in funzione.
 
IL NOME
Deriva secondo alcuni da Mons Bellus, un composto di “monte” e dell’aggettivo “bello”, nome che identifica la sua posizione geografica; secondo altri da Montis Belli, “monte della guerra”.
 
FRAZIONI E LOCALITÀ
Fossato Ionico, Saline Joniche, Masella, S. Elia, Stinò.
 
LA STORIA
Montebello, insieme alla sua frazione Fossato, furono probabilmente delle fortezze a difesa della via che collegava Reggio alla contea di Bova. Compresa nella baronia di San Niceto, fu unita, dopo la distruzione di quest’ultima, al feudo di Motta San Giovanni da cui si distaccò nel 1505 per passare prima agli Abenavoli e poi, nel 1531, ai Ruffo di Sinopoli. Acquistato nel 1549 da Giovanni Faraone di Messina, Montebello fu venduto l’anno dopo ai Guerrera che lo detennero fino 1585, quanto tornò agli Abenavoli fino al 1686. Seguirono i Lavagna, i Barone (1757), e, allo scadere del secolo, i Piromalli.
 
SCOPRIRE IL CENTRO STORICO
Montebello Jonico ha conservato una struttura medievale ed il centro storico è caratterizzato da viuzze e scalinate.
Nella piccola chiesa parrocchiale si conserva una delle prime opere scultoree, di matrice artistica latina, giunta nell’Area Grecanica: la Madonna della Presentazione (XV-XVI sec.), attribuita ad un ignoto scultore francese, seguace di Francesco Laureana. Tra il 14 e il 15 Agosto il borgo commemora la Morte e l’Assunzione della Madre di Dio. La sera del 14 Agosto, una processione guidata dall’icona della Madonna lascia la chiesa protopapale per sostare una notte nel cimitero. La mattina seguente è ricondotta nella sua casa, dove si celebra messa secondo il rito greco bizantino. Di notevole interesse sono, inoltre, le grotte di Lamia, in contrada San Pietro, nella frazione di Fossato. Secondo la leggenda vi trovò rifugio Lamia, amante di Zeus, punita dalla gelosia di Hera che la trasformò in un mostro, insieme alla sua unica figlia rimasta in vita: Scilla. In contrada Masella si innalzano invece le Rocche di Prastarà: rugose calcareniti abitate fin dalla Preistoria. Tra il IX e il X secolo da queste spelonche si elevarono le preghiere di Sant’Elia lo Speleota, di Sant’Elia di Enna, di Sant’Arsenio e di molti altri asceti che nella solitudine e nel silenzio cercarono Dio. Dalle grotte è possibile osservare due stagni identici, nei pressi della costa di Saline Joniche, frazione di Montebello.
Da visitare inoltre: i ruderi del Monastero di San Giovanni e Sant’Anastasio, il Castello Piromalli, le Grotte della Lamia, le Rocche di Prastarà e i laghetti naturali di Saline Joniche.
 
 
INFORMAZIONI
COMUNE: Comune di Montebello Jonico
INDIRIZZO: Viale Portovegno
CAP: 89064
TEL: 0965.779006
FAX: 0965.786040
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SITO WEB: www.montebellojonico.it

COMUNE DI MELITO PORTO SALVO

Melito Porto Salvo ha conosciuto una veloce crescita demografica negli ultimi vent’anni dovuta in particolar modo all’abbandono delle aree interne sovrastanti.
In età bizantina la sua importanza era però relativa, quasi di borgo satellite, sbocco al mare della più importante Pentedattilo.
Melito (anticamente “Melìto”) deve il proprio nome alla presenza del fiume omonimo, “potamòs tu Melìtu”. Anche in arabo era definito “wadi al asal”, fiume del miele, per l’elevata produzione di miele nella zona.
La “seconda parte” del toponimo, invece, fa riferimento alla devozione per la Madonna di Porto Salvo, culto soprattutto “marinaro” in un circondario rituale assolutamente “rurale”.
Nel contesto della storia nazionale Melito Porto Salvo è ricordata per i due sbarchi garibaldini: il 19 Agosto 1860, quando Garibaldi andò incontro, vincente, a Vittorio Emanuele II, e il 25 Agosto 1862, quando invece dovette scontrarsi con i piemontesi sostenuti due anni prima.
Casa Ramirez, una palazzina ottocentesca che si affaccia sulla 106, reca ancora le tracce di un bombardamento avvenuto mentre l’Eroe dei due Mondi dormiva ai piani bassi dell’edificio, oggi adibito a ristorante. In realtà il suffisso “Porto Salvo” rimanda alla Vergine più venerata dai marinai e dai pescatori, i primi ad abitare le marine quando ancora erano minacciate dai Turchi.
 
IL NOME
Deriva dal greco potamos tou Melitos, ossia “fiume del miele”. L’appellativo si riferisce al vicino santuario di Santa Maria di Porto Salvo, chiamato così perché dava rifugio alle imbarcazioni.
 
FRAZIONI E LOCALITÀ 
Annà, Armà, Caredìa, Concessa, Lacco, Lembo, Marina, Musa, Musupuniti, Paese Vecchio, Pallica, Pentedattilo, Pilati, Porto Salvo, Prunella, San Leonardo, Sbarre.
 
LA STORIA
Melito di Porto Salvo, con i suoi circa 12.000 abitanti è il centro più esteso dell’Area Grecanica e sorge nel punto più meridionale della Calabria, sulla foce della fiumara del Melito.
È una località balneare e agricola circondata da ampi agrumeti. Il luogo fu abitato fin dall’epoca romana, ma furono i Bizantini, nel sec. XV, a introdurvi la coltura del bergamotto. La fondazione della città si deve ai primi abitanti di Pentedattilo; la cittadina si sviluppa a partire dal centro storico che sorge sulla collina, per digradare dolcemente verso il Mar Ionio, dove sono localizzate le espansioni più recenti e dove si estende su circa 4 chilometri di costa.
Secondo gli storici locali, Melito era sicuramente abitata in epoca tardo-romana, anche se la conferma di ciò è data solamente dal ritrovamento nella parte più antica (presso la collinetta Calvario) di una necropoli del V-VI secolo d.C; si suppone poi che, sempre in epoca tardo-romana, il posto fosse una stazione di scambio e riposo per i viaggiatori che da Reggio Calabria si recavano a Locri.
Secondo quanto narra un’antica leggenda, un quadro con l’effige di una Madonna, trovato sulla spiaggia, nel periodo delle incursioni dei Saraceni, sarebbe giunto dal mare per proteggere il sito ed i suoi abitanti dalle scorrerie turche. Sul luogo del ritrovamento, i melitesi edificarono un Santuario che oggi accoglie la sacra effige. La sua costruzione fu promossa da Don Domenico Alberti, marchese di Pentedattilo da cui dipendeva il feudo di Melito. In seguito a questo evento, gli Alberti promossero lo spostamento dei coloni da Pentedattilo verso la zona più pianeggiante e quindi più produttiva, fu così che la città cominciò ad espandersi.
Nella seconda metà del XIX secolo si andò completando lo spostamento di tutte le istituzioni civili e religiose da Pentedattilo a Melito.
 
GARIBALDI E I MILLE
Melito scrisse il proprio nome nella storia dell’unità d’Italia, accogliendo Giuseppe Garibaldi ed i suoi valorosi “Mille” che, provenuti dalla Sicilia, sbarcarono il 19 agosto del 1860 sulla spiaggia di Rumbolo, a poche centinaia di metri dal Santuario di Porto Salvo. Garibaldi sbarcò nuovamente a Melito di Porto Salvo il 25 agosto 1862, allorquando giunse in Calabria con le sue Camicie Rosse durante una sua operazione militare volta a conquistare Roma e scacciarne il Papa Pio IX.
 
SCOPRIRE LA CITTADINA
La località di Melito Porto Salvo è una delle località balneari segnalate con due vele nella Guida Blu di Legambiente e fa parte della Comunità Montana Versante Jonico Meridionale Capo Sud.
Per giungere al paese ci si deve avventurare in una stradina assai lunga, chiamata Via Lembo (soprannominata “Lembo d’Italia” perché simbolo della parte estrema dello stivale); percorrendola s’incontra la fontanella con “l’acqua buona”, che una volta arrivava direttamente dalle montagne; proseguendo ci si addentra proprio nella cittadina che si divide in Melito Alta e Melito Bassa: nella parte alta casette si arroccano su collinette asfaltate, particolarmente ripide, mentre verso valle si incontrano botteghe artigiane e negozi.
Grande fascino suscita poi il lungomare di Melito che affaccia sul mare Jonio e ha come sfondo la Sicilia e in particolare l’Etna, che in serate limpide regala fantastici scenari.
Da visitare il Museo Garibaldino edificato sul lungomare di Melito Porto Salvo nel punto esatto in cui Giuseppe Garibaldi e i Mille (le Camicie Rosse) sbarcarono nei lontani 1860 e 1862. Il museo si compone di tre parti: l’area esterna (qui si trova la nuova stele garibaldina che si è sostituita alla vecchia originale, ormai smantellata); una zona sotterranea contenenti le tombe di alcuni alleati di Garibaldi; e il museo vero e proprio in cui si possono vedere le armi e gli indumenti dell’eroe dei due mondi, numerosi suoi documenti e fonti inerenti lo sbarco dei Mille.
Sempre sul Lungomare dei Mille da visitare il santuario dedicato alla Madonna di Porto Salvo che fu costruito nel 1680 per volere del Marchese Domenico Alberti di Pentedattilo, sui resti di un più antico edificio che sorgeva, non a caso, in una località, detta nel Trecento “Portus Veneris”. Sull’altare della chiesa, troneggia la tela della Madonna di Porto Salvo, raffigurata mentre protegge un veliero in balia delle onde. Dipinta agli inizi del Settecento da Antonio Cilea, torna annualmente in processione a Pentedattilo, rinsaldando il legame di questa comunità con la rupe a forma di mano. La processione, che si svolge l’ultimo sabato di Aprile, è certamente il momento religioso più sentito dai 12.000 mila residenti di Melito di Porto Salvo, il centro demograficamente più consistente dell’Area Grecanica, frutto dello spopolamento dei versanti grecanici, a seguito dell’alluvione del 1952.
 
IL BERGAMOTTO
La particolarità che colpisce il visitatore appena arrivato in questi luoghi è l’inconfondibile odore dei bergamotti, agrumi che hanno fatto di questa cittadella il centro per la produzione più importante già dal lontano ‘400.
Il bergamotto è un agrume classificato come Citrus Bergamia Risso, appartiene alla famiglia delle Rutacee, sottofamiglia Mesperidee, genere Citrus. Il frutto presenta forma sferica con un peso medio intorno ai 200 grammi e il colore a maturazione è giallo; la fioritura va da Novembre a Marzo. Il suo habitat più idoneo ed esclusivo è costituito dalla sottile striscia di terra, lunga poco più di cento chilometri, compresa tra le propaggini estreme dell’Aspromonte e i mari Jonio e Tirreno, in provincia di Reggio Calabria.
La coltivazione e la commercializzazione della sua essenza, hanno costituito per oltre 50 anni, fino ai nostri giorni, un raro momento di imprenditorialità agricola di respiro internazionale per la Calabria.
 
ORIGINI DELL’ORO VERDE
L’origine del bergamotto è incerta. Molti ritengono che derivi dalla mutazione di un’altra specie. L’etimologia più attendibile è quella che lo fa derivare da Berg-armudi, ovvero “pero del Signore” in turco, per la somiglianza del bergamotto con la pera bergamotta.
Il frutto e il suo olio essenziale sono indispensabili nell’industria profumiera; la sua essenza viene impiegata anche nell’industria farmaceutica per il suo potere antisettico e antibatterico. Ma l’essenza di bergamotto è usata anche nell’industria alimentare e dolciaria: liquori, the, caramelle, canditi.
 
 
INFORMAZIONI
COMUNE: Comune di Melito di Porto Salvo
INDIRIZZO: Viale delle Rimembranze
CAP: 89063
TEL: 0965.775111
FAX: 0965.781780
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SITO WEB: www.comune.melitodiportosalvo.rc.it
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